Il termine con cui veniva definito l'artista nel mondo greco antico era technites. Ovvero l'artista era un maestro di tecnica e l'arte era appunto techne, perizia, mestiere. La conoscenza della tecnica, o, per citare Cennino Cennini, “l'abilità di mano”, è da sempre base imprescindibile per dare corso alla “fantasia”, ovvero all'espressione; e l'incisione è tecnica raffinata dove tale connubio si rivela particolarmente rilevante, nella sapiente miscela dell'acido che traccia i solchi sulla lastra metallica, nella composizione dell'inchiostro tipografico, nella selezione fra acquatinta, acquaforte, cera molle, maniera nera, nella qualità e nel taglio della matrice lignea...
Questa variegata mostra vuole offrire un saggio delle conoscenze tecniche ed espressive raggiunte da alcuni giovani artisti del dipartimento di Belle Arti della Western Washington University di Bellingham. Si tratta di incisioni; acqueforti, acquatinte, litografie, xilografie, eseguite dagli studenti americani nel corso dei lori studi di quest'anno accademico. Gli allievi mostrano, pur con qualche differenza, una notevole versatilità tecnica e, per certi versi, padronanza dei differenti mezzi e delle possibilità varie offerte dal mezzo artistico.
I presenti lavori sono opera di artisti all'inizio del loro curriculum, alla ricerca ancora di un proprio linguaggio espressivo personale; denotano infatti alcune incisioni il carattere di studio, sia anatomico (vedi il teschio di Callie Christeson, ad esempio), sia del medium, ed il piacere, tutto giovanile, della scoperta e della sperimentazione. Tuttavia alcune opere mostrano anche come questi studenti manifestino già una decisa personalità nella scelta di temi e di un individuale linguaggio.
Ad esempio, le opere di Callie Christeson che rimandano a temaniche del West, o quelle di Chase Boston e Teresa Grasseschi, sempre di impronta decisamente americana nelle figure e scene che paiono ritratti di gente del Midwest. Particolarmente interessanti sono gli esperimenti formali di Tim Kenney e la sua personalissima ricerca di tradurre immagini di radiografie in acquatinta e acquaforte con soluzioni davvero originali al limite del surrealismo; l'ironica critica al linguaggio televisivo in Hunter Buck, dove microfoni divengono selva oscura e selvaggia, caotica palizzata impenetrabile (Hemi) e la drammatica espressività della policroma xilografia di Elizabeth Butterworth Suicide. Tinnel Hillis, se in Give me Her Secrets gioca con rimandi formali alla sublime lezione dei Capricci di Goya o del simbolismo contemporaneo di un Max Klinger (Angel of Death), per altri versi mostra inclinazioni di vago sapore calligrafico da japonisme art noveau in Line Etching, in She always wondered where they went..., e in Himeji Palace dal sapore di illustrazione ottocentesca. Come orientali, evanescenti ed eleganti appaiono le creature marine di Lindsay Kholes evocate in fili tenui d'inchiostro.
Infine, questa piccola esibizione senese vuole al contempo portare alla conoscenza del pubblico italiano la frugifera scuola artistica della Western Washington University ed essere di stimolo ed augurio a questi giovanissimi talenti americani.
Piergiacomo Petrioli
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