C'è in queste immagini un senso di caduca vanitas delle cose, un effimero che si fa eterno, un transeunte raggelato nell'incanto dello scatto fotografico. Oggetti quotidiani, brandelli, schegge, che divengono protagonisti, ovvero, isolati ed estrapolati dal loro contesto, si propongono, grazie a scorci audaci dell'obiettivo di Fantoni, centro di una bellezza universale, eterna. Come relitti trasportati dalla marea della vita sulla battigia deserta, ecco sfilare i bei ritratti di un desolato onnagata e di una donna matura, foto capaci di racchiudere una vita intera nel sentimento del colore e del taglio audace dell'immagine. Rosse stoffe perse su grigi gradini, lacerti di scritte graffite su vetri o motivi di involontario design su staccionate dimesse, lanterne banali, foto semplici di tazze da the che rimandano all'essenziale venustà del mu-tei (giardino zen di pietre e sabbia), giochi di specchi in bagni ordinari, palme d'appartamento, luci artificiali che violentano i colori; particolari che si fanno tutto, fulcro, che acquistano assolutezza estetica, grazie all'occhio dell'artista. Il fascino di queste immagini risiede proprio nel fatto che esprimono un sentimento totale attraverso una elegiaca poetica del frammento.
Davide Fantoni, giovane fotografo, laureatosi in lingua e letteratura giapponese a Firenze, vive ormai da molti anni a Tokyo. Il suo quindi non è il Giappone visto con il passivo occhio ammaliato del neofita namban-jin (“barbaro del Sud” come i giapponesi chiamavano gli occidentali), imbevuto di “pittoresco” ed alla ricerca dell'esotico, bensì questa serie di scatti ci sanno offrire un vivido caleidoscopio di frammenti di quotidianità e, composti, una visione che è quella del lontano “Est” attraverso l'intima percettività dell'artista. Sensibilità che non è mai banale ed ovvia, ma anzi deriva da una profonda conoscenza della cultura e della società nipponica, attraverso la prospettiva di chi, lasciato l'Occidente non è comunque parte dell'Oriente e si trova, nella tragica ed, al contempo, fortunata posizione di essere partecipe e straniero, di sentirsi appunto in quel mondo perso senza, tuttavia, misunderstanding alcuno, senza errori nella traduzione da Ovest a Est.